La chiesa di San Giovanni Paparometta

Anzitutto facciamo chiarezza, non era una chiesa isolata posta a caso su una strada di collegamento, ma era un monastero fondato dai basiliani nel periodo bizantino-normanno, ven'erano diversi nella zona, sorti dove vi era dell'acqua, un esempio è il santuario di Vena o quello di San Salvatore (non più esistente) di Bongiado.
Questi monasteri fungevano da Hospitali[1], senza farsi ingannare dal termine, che ci fa subito pensare come luogo di ricovero per ammalati, ha tutt'altro significato, un luogo di ristoro, ospitalità, come dice lo stesso nome.
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Mettiamo in conto che tutto era molto diverso da come lo conosciamo ora, anzitutto spesso ci si spostava a piedi e le strade non erano molto comode come oggi, purtroppo era molto probabile essere preda dei briganti e questi monasteri nei lunghi giorni di viaggio servivano ad avere un luogo sicuro dove poter alloggiare nella strada, anche per i pascoli nei periodi della transumanza[2].
Oltre alla chiesa e al monastero vi erano anche dei vigneti, orti e luoghi dove veniva allevato del bestiame per poter avere reperibile quanto serviva per vivere e per le funzioni religiose.
Un luogo che sicuramente oltre alla sua funzione di ospitare i viandanti era anche un luogo di serenità, di pace, di meditazione.
Il crollo e l'abbandono
Nel 1329 nacque Monte Rosso, circa 1 km più a valle del luogo di cui abbiamo parlato fin ora. E come ogni eruzione laterale, questa è preceduta da scosse di terremoto crescenti fino alla fuori uscita della lava, e proprio queste fecero crollare la chiesa e il monastero, che furono abbandonati ed in seguito non più ricostruiti.
Le rovine rimasero a memoria della drammatica eruzione.
Col trascorrere dei secoli la via Magna, che collegava Catania a Messina si spostò di poco più a valle, identificata in quella che oggi è l'attuale strada che passa per il centro di Fleri.
La stessa strada darà il nome al paese di Viagrande.

Ed ai giorni d'oggi?
Nonostante l'abbandono i contadini del luogo celebravano il santo con una fiera realizzata nel piazzale, fiera di bestiame e prodotti dell'agricoltura.
Dai primi del novecento sulle spesse mura nacque una casa, tutt'oggi visibile.
Per indicare il luogo della chiesa sui pilastri del cancello fu realizzato un'edicola votiva, o "altarino"[3], dedicato a San Giovanni Battista.
L'immagine del santo, raffigurato bambino con le pecore e molto consumata dal tempo ma ancora ben riconoscibile. Sotto la nicchia chiusa da un cancelletto e vi è una lapide con scritto:
S. Ecc. il Cardinale Dusmet
Arcivescovo di Catania
concede 100 giorni di indulgenza
a chi recita un pater ave e gloria
dinanzi a questa immagine
1891
restaurato 1986 L. R.
Per capire meglio alcuni termini
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Hospitali: Gli ospedaliera medievali, singolari espressioni della carità ecclesiastica, inizia a sorgere in Europa a partire dal X secolo lungo gli itinerari principali percorsi dai pellegrini
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Transumanza: Complesso delle migrazioni stagionali del bestiame dai pascoli di pianura a quelli delle regioni montuose e viceversa.
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Altarino: Piccola nicchia o immagine religiosa posta sui muri delle case o in alcuni luoghi, segno di devozione popolare, spesso addobbati con fiori e luci.
Testo ufficiale del documentario:
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Troppo tempo questa storia è rimasta nel silenzio, come questa notte, la vita va avanti ignara di tutto, le cicale continuano il loro canto nella notte, sembra che vogliano dare voce al pulsare eterno delle stelle, e così sono questi luoghi, a cui voglio dare voce e potranno raccontare di se. E allora riportiamo la mente indietro di qualche secolo…
Tutto ha inizio in contrada San Giovannello, al confine del comune di Viagrande, e poco più sotto il paese di Fleri, che proprio qui, in questo luogo ha avuto la sua origine, parliamo intorno al periodo Bizantino - Normanno, e dove oggi sorge questa edicola votiva un tempo sorgeva una chiesa, conosciuta come “San Giovanni Paparometta”.
Un edificio sacro fondato dai monaci basiliani, rivolto ad est come era tradizione costruire le chiese, rivolte verso la Palestina.
Di modeste dimensioni era lungo circa 26 metri, la navata e l’abside, con annessa la cripta.
Non vi era solo l’edificio sacro, ma anche un fondaco e del terreno adibito alla coltivazione dell’uva e all’allevamento di animali da cortile e bestiame, tipico della chiese del medioevo, dove il necessario per la messa e il ristoro doveva essere facilmente reperibile.
L’ubicazione non è casuale, essa infatti si trovava sull’antica VIA MAGNA che collegava Catania a Messina. strada ubicata lontano dalla costa per evitare le incursioni dei pirati.
Nonostante questo sia dalla storia dichiarato il punto di inizio della borgata di Fleri esso in realtà era un hospitali, un luogo dove i viandanti potevano alloggiare, probabilmente era lo stesso monastero accorpato alla chiesa, luoghi che nascevano dove vi erano fonti d’acqua, come testimonia l’attuale esistenza di questo pozzo.
Un luogo quindi adibito a ristoro per i viandanti e per accogliere i pascoli nei periodi della transumanza.
Il 1329 cambiò decisamente le sorti di questo luogo, al tramonto del 28 giugno con forti scosse si aprì una nuova fessura eruttiva nei pressi di Rocca Musarra, eruzione ancora attiva quando il 15 luglio, preceduta da forti terremoti si aprì una nuova frattura eruttiva ad una quota più bassa. Nel frattempo dal cratere centrale un grossa nube di cenere oscurò il sole.
Al tramonto dello stesso giorno, tra forti boati e terremoti si aprì una nuova fessura poco distante dalla chiesa di San Giovanni Paparometta, già danneggiata fortemente dalle precedenti scosse.
Con forti esplosioni fu emessa lava, che per l’accumulo delle scorie formo l’attuale Monte Rosso. La lava molto fluida iniziò a scendere rapidamente colmando piccole valli e bruciando il bosco.
Inizialmente in un unico fronte compatto, la colata si divise in tre bracci, due diretti verso il territorio Acese e uno verso sud in direzione dei territori sotto l’amministrazione della città di Catania.
Mentre i lapilli caduti nel territorio dell’eruzione inaridirono il terreno, un colpo tremendo all’agricoltura e a tutto il territorio, invaso dalla lava e devastata dalle forti scosse.
Dal cratere centrale, in contemporanea delle due colate, vi furono grandi esplosioni che causarono una fuoriuscita di una nube di cenere che ricadde sul territorio urbano ed extraurbano di Catania e giungendo fino a Malta.
La colata rimase attiva probabilmente fino alla fine del mese di luglio.
Al termine dell’eruzione la chiesa di San Giovanni paparometta non fu più ricostruita, le sue rovine rimasero nei secoli come ricordo della drammatica eruzione, e proprio da questa che la zona comunque prese il nome, conosciuta come “San Giuvanneddu” o “San Giovannello”, toponimo ancor oggi in uso.
Le rovine lasciate in uno stato di abbandono furono in seguito sfruttate per realizzare la casa che oggi sorge al suo posto.
Nonostante lo stato di abbandono della chiesa, la popolazione festeggiava ogni anno il santo con una festa rurale con una grande fiera di bestiame, cibi e attrezzi agricoli, portando il ricordo fino alla memoria dei primi del 900.
Il nuovo cratere prese il nome di Monte Rosso dalla terra rossa da cui è formato, evidente presenza di materiale ferroso nella composizione geologica della lava. In tempi più recenti nascerà ai suoi piedi un paese che prenderà il nome dallo stesso, ma questa è un'altra storia.
E tornando ai giorni d’oggi, come mi piange il Cuore, pensare che questo era un luogo di così grande importanza ed oggi dimenticato. Anche lo stesso Monterosso, di cui la frazione ai suoi piedi porta il nome non ha il giusto valore.
Eppure l’Etna l’ha generato non a caso, mi piace immaginare che abbia voluto disegnare una nuova parte di se, piccola, ma così essenziale.
Luoghi che hanno caratterizzato la vita locale, quella di tutti i giorni, quella che, chi li vive, non sa apprezzare e forse nemmeno conosce, come una zona ha un nome e come essa abbia caratterizzato il nostro passato, scrivendo anche l’attuale presente.
Passando e scoprendo la storia di questi posti ho potuto sentire il sapore della storia, tra la terra, la dura pietra lavica e i testi che riportano la mente a quei giorni. Tutta un’altra vita, tutt’altro modo di pensare, di conoscere le cose, vedere come il buon Cuore della gente ha potuto realizzare e ricavare dal poco che aveva quanto bastava per vivere senza sfruttare in maniera egoistica.
Fleri, dopo il terremoto del 1984 e del 2018 ha perso tanti pezzi della sua storia, e chissà quanti ancora se ne perderanno, facendo perdere per sempre le tracce dell’identità di una borgata che ci appare così recente ma che affonda le sue radici in epoche antichissime. Anche a questo sta la tanto invocata RINASCITA, non dimenticare il passato, perché esso ci ha generati, e da esso possiamo apprendere chi siamo.
E tu, cara Montagna, madre di questa terra, tu l’artista perfetta, che regali splendide opere, cos’hai da dire oggi a questi che ti guardano con tanta ammirazione e timore.
Quante volte hai causato danno al loro lavoro, forse sbaglio a definirli danni, semplicemente ricordi a loro che sono di passaggio, che questa è solo una terra in affitto a breve termine e la padrona resti sempre Tu, che regali terreni così fertili me che in un attimo puoi distruggere tutto.
Cara Etna, avrei tante cose da chiederti, ma non serve a nulla farsi domande quando c’é già la risposta, Tu sei così, è la tua natura di vulcano, e questo da già tutte le risposte.